Scrittura creativa

Articoli riguardanti in generale la scrittura creativa, ovvero come si compone un romanzo, le sue varie parti, come è caratterizzato, definizioni...  

Settembre 2

Scrivere un libro: usare il cuore o il cervello?

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Come si scrive un libro? Quali sono le tecniche per scrivere buona narrativa? Basta l’ispirazione, il cuore o meglio essere razionali e seguire delle ferree regole letterarie? Scrittori si nasce o si diventa? Si può imparare a scrivere o è una dote innata? Bisogna essere molto tecnici, razionali o meglio creare forti emozioni?

Vediamo di andare con ordine…

Lo spunto per questa riflessione, nasce da questo articolo di Gamberi Fantasy:

In sostanza Twain dice che se uno scrittore crea un fiume largo tot metri e vi immerge una barca più larga, la dannata barca non ci passa! (in realtà la questione è un po’ più complessa, l’invito è leggere direttamente Twain.)
Non è una metafora: Twain parla di barche, traiettorie di proiettili, rumori nei boschi, e ogni sorta di fatto concreto. E sono proprio i fatti concreti all’interno di un’opera di narrativa la base sulla quale giudicarla! Non la poesia ungherese, non astratti discorsi sull’estetica, l’arte e la retorica, non disquisizioni sulla situazione cultural-sociale nella quale si muove l’autore, non quali Grandi Problemi del Nostro Tempo l’opera in questione affronta, non cretinerie assortite. In un racconto quel che conta è che gli eventi siano verosimili, i personaggi credibili, e che la storia abbia un capo e una coda.

All’inizio, quando ero una giovane aspirante scrittrice 👩‍💻,  rimasi molto affascinata da questa ipotesi. L’arte della narrativa poteva essere giudicata con mezzi precisi, quindi la critica letteraria non era una mera opinione lasciata al caso, ma si poteva basare su assunti specifici, oggettivi e condivisibili da tutti!

EUREKA!

Mi sembrava bellissimo: si poteva imparare a scrivere bene seguendo una tecnica rigorosa.
Purtroppo mi accorsi ben presto che tra il dire e il fare ce n’era di spazio, e la narrativa non è una materia precisa come l’informatica. Anche se si seguono pedissequamente alcune regole narrative, non è assolutamente garantito il risultato, si può migliorare la tecnica ma non è assolutamente detto che si scriva un buon libro. Semplicemente perché la narrativa è creatività e quindi non è detto che con regole precise si riesca a creare una buona storia, quella dipende dalla tua testa.

Ma ora vediamo perché non basta seguire tecniche oggettive, rigorose per scrivere un buon libro. Cosa manca a questa teoria (seppur parte da presupposti giusti e condivisibili)?

Soffermiamoci su questo punto:

Ho davvero creduto che una critica seria implicasse frasi quali “non è possibile giudicare l’opera di Pinco Pallino, se non alla luce delle poesie di [sconosciuto poeta ungherese del sedicesimo secolo]” o “stante il concetto di estetica del [filosofo il cui nome ha troppe h, e k, e w, e z, per essere pronunciato] possiamo affermare” o ancora “lo stile di Pinco Pallino amalgama sapientemente elementi ctoni con accezioni eteree ecc. ecc.”
Poi ho letto Mark Twain e ho capito che quanto sopra e tutto ciò che ne deriva e implica sono stupidate.

Innanzitutto premetto che:

  1. Sono d’accordo sul non giudicare un romanzo in base alla filosofia epistemica eterea: quelle sono tutte baggianate!
  2. Va bene essere accurati, precisi, e quando si scrive è bene documentarsi su ciò di cui si parla;

Ma, se valuti un romanzo solo in base alla razionalità dello stesso, la critica che ne verrà fuori sarà monca. È come se giudicassi un libro in base alla moralità cristiana: per carità, lo posso anche fare, ma sarà comunque un giudizio parziale, valuterò solo un aspetto, non il suo insieme.  

Facciamo un esempio.

La storia 1 è molto precisa, regolare, l’eroe va dal punto A al punto B, vince la sua battaglia, combattendo perfettamente secondo le leggi della fisica, usa le armi in modo impeccabile e non ci sono sbavature di sorta.

La storia 2 è invece tecnicamente imprecisa, c’è una battaglia in cui l’avversario secondo le leggi della fisica dovrebbe morire, ma invece sopravvive, solo che grazie a questo “errore” si crea una grande storia di amicizia tra il protagonista e l’avversario; questa storia è piena di pathos, e la scena finale, in cui l’avversario arriva addirittura a sacrificare la sua vita per salvare il protagonista, è molto epica e drammatica.

Secondo voi, quale tra le due preferirà il lettore?

La seconda.

Visto che ai gamberettiani piacevano tanto le teorie scientifiche, vi parlerò della memoria, in accordo con le moderne teorie della psicobiologia (ambito in cui ho svolto anche un tirocinio di ricerca). Non vi starò a tediare parlando delle varie parti in cui è suddivisa la memoria, vi basterà sapere che le emozioni hanno un ruolo molto importante nella memoria.

Ovvero influenzano pesantemente il ricordo.

Sia in maniera positiva che negativa. Infatti ci ricordiamo sia di eventi molto piacevoli che molto spiacevoli. In parole povere, gli eventi molto piacevoli ce li ricordiamo perché siamo spinti a riprodurre quell’azione che in passato ci ha appagato, per riprovare nuovamente piacere o trovare la ricompensa (il cibo, ad esempio); viceversa, gli eventi spiacevoli dobbiamo ricordarceli per evitare di finire nuovamente in situazioni di pericolo e/o dolorose. Ovviamente le emozioni possono avere anche un effetto inibente: in caso di traumi troppo dolorosi da sopportare, può subentrare l’oblio, la rimozione, per evitare di farci soffrire.

Cosa c’entra tutto ciò con la scrittura?

C’entra perché per avere ricordi forti, che rimangono impressi a lungo, occorrono emozioni forti.

E se voglio scrivere un buon libro, un libro che venga ricordato, devo suscitare emozioni. Ovviamente ce ne sono di diverso tipo: paura (libri horror), passione (romanzi rosa), suspense/curiosità (giallo), ecc.. Quindi quando parlo delle emozioni mi riferisco a tutta la gamma dei sentimenti umani, non solo alle emozioni sdolcinate da romanzetti di serie B.

Scrivere un romanzo perfettamente razionale non significa scrivere un buon libro, perché la storia razionale può suscitare zero emozioni! Purtroppo per Gamberetta, le emozioni per definizione sono irrazionali (oh per la Dea! Terribbbile!). Ciò ovviamente non significa che un romanzo carico di emozioni debba essere per forza illogico e irrazionale (un libro emotivo può essere anche molto razionale), ma non è con la razionalità che susciterai emozioni.

Questo discorso non vuole essere un incentivo a scrivere con faciloneria: informarsi su ciò di cui si vuole parlare, evitando strafalcioni cosmici, imprecisioni e ridicolaggini varie, è cosa buona e giusta, soprattutto se si vuole essere presi sul serio. Ma uno scrittore non può essere onnisciente.
Tra l’altro Gamberetta è molto precisa per ciò che riguarda armi, tattiche di guerra, ecc.., ma è risultata facilona pure lei in altri campi: davanti a un’esperta del settore, una psichiatra, ha mostrato palesemente di non conoscere quali siano le reali procedure in un ospedale, e quali potrebbero essere i reali comportamenti di una paziente, non è per niente verosimile quella scena.
Ma questo è ovvio, non si può sapere tutto di tutto. Non ci sono solo armi e strategie di guerra in un romanzo, ci sono anche le dinamiche comportamentali e qui entra in ballo la psicologia, ad esempio.
Ma siccome uno scrittore non può essere onnisciente, allora su cosa si deve informare?
Su ciò che serve, ciò che è necessario e coerente con la storia.

Se ad esempio il protagonista è un veterano, per coerenza dovrebbe essere piuttosto esperto di armi, ma se la protagonista è una vecchietta, non è tenuta a sapere il modello preciso di una pistola e la velocità e profondità di traiettoria del proiettile. (Dopotutto voi tutte le volte che prendete in mano un cellulare pensate “oh toh il mio Samsung Galaxy A7c13 2018” o semplicemente “il mio cell”?) Ripeto, la descrizione minuziosa può aver senso se volete mostrare che il tizio è un appassionato del genere o soffre di manie ossessive e deve nominare con maniacale precisione ogni oggetto che vede, altrimenti non è necessario.
Se fate impugnare un’arma dovete certo sapere se sia realistico che spari a una certa distanza, che possa essere impugnata facilmente da una persona non esperta oppure no, ok, ma non dovete sapere la quantica della fisica balistica del teletrasporto atomico; altrimenti lo stesso discorso dovrebbe applicarsi per tutte le cose che fate. Andate a bere un cocktail? Eh no, non può essere solo un cocktail: dovete specificare che è un Long Island Iced Tea e quindi, da bravo scrittore onnisciente, dovete anche essere un po’ bartender e dire che quella mezz’oncia ciascuno di vodka, gin, triple sec, rum bianco e tequila (eh sì, voi siete ligi alla ricetta IBA e ci mettete anche la tequila) si amalgamano perfettamente con la coca cola e il sweet e sour.
Vi rendete conto che è pura follia se iniziate a fare così con tutto! (Se invece volete mostrare che il tizio è un esperto di mixologia e si mette a disquisire col barista, dalla quale discussione nascerà un’amicizia o una splendida storia d’amore, allora certo, vi dovete documentare sui cocktail.)

Se scrivete con precisione, dimostrerete la fondatezza scientifica delle vostre teorie, l’accuratezza storica della vostra storia, la precisione tecnica, ma non scriverete necessariamente un BUON LIBRO. 
Un romanzo NON è un MANUALE!

Se non suscita emozioni, succederà che:

  1. Subentra la noia, il libro viene abbandonato;
  2. Viene letto fino alla fine ma dimenticato dopo 2 giorni

Questo perché appunto i ricordi hanno bisogno di emozioni per rimanere impressi nella nostra memoria e se il libro non ha lasciato nulla degno di nota, non c’è motivo per ricordarsene.

Una delle motivazioni portate a sostegno del fatto che non essere precisissimi nei dettagli è una cosa “terribile” è che il lettore viene distratto da questi fastidiosissimi dettagli a cui proprio non riesce a non fare caso, e così non si immerge nella storia perché terribilmente offuscato dal demone dell’irrazionalità che sovrasta il realismo e la coerenza interna.
Nella pratica non è vero che il lettore medio non si immerge nella storia (a meno che non soffra di ossessioni maniacali), in realtà molto spesso:

  1. il lettore è distratto, neppure se ne accorge;
  2. nota l’errore ma non ci bada, perché? Perché lo considera un dettaglio.

Entrambe le tipologie di lettori sono concentrati su altro: ovvero sul contesto, la storia, le emozioni.

Se non ci sono queste, se mancano cioè le basi, tutto il resto serve a ben poco.

Per riassumere questo concetto non trovo niente di più adatto della frase finale del film “Io robot”, quando la robot V.I.K.I. dice a proposito del suo piano perfetto (L’obiettivo di V.I.K.I. è quello di proteggere gli uomini, sacrificando però i singoli e la loro libertà al fine d’instaurare sulla Terra una “benevola” dittatura dei robot per proteggere gli uomini da loro stessi): “Ma come, non riesci a vederlo? Il mio piano è così… razionale!”; e il robot Sonny, dotato invece di un’intelligenza emotiva, risponde: “Sì, ma… sembra che manchi un po’ di cuore!”

Agosto 1

Scarsa caratterizzazione dei personaggi

Percepisco una sorta di nonsense… Falsità nei romanzi odierni.

Lasciando perdere i libri creati a tavolino che seguono le mode del momento, su cui neppure mi pronuncio perché per me sono carta per pulircisi il c**o, anche nei romanzi “sentiti”, ovvero quelli in cui l’autore “ci crede”, c’è qualcosa che non va. I personaggi si muovono per esigenza di trama e non per la loro personalità. Non riflettono su ciò che gli accade intorno, hanno la missione del momento da portare a termine, la “quest” come i protagonisti dei videogiochi ma non esistono oltre a quello, si sente che non hanno un passato, e neppure un presente oltre a quello della storia principale.

Accadono le cose più assurde ai personaggi e questi?

Niente. Reagiscono con un’alzata di spalle. Senza riflettere, rimuginare o rielaborare quello che sta accadendo intorno a loro.

Insomma, spessore psicologico di una sottiletta.

E questo l’ho notato trasversalmente, in diverse tipologie di romanzi, appartenenti a generi diversi, anche quelli che dovrebbero essere più impegnati.

Insomma non si capisce cosa stia passando per la testa del personaggio né sembra che sia mai esistito prima di quel momento.

Mai un ricordo, un’associazione su un evento passato, un aneddoto triste o divertente… Insomma normalmente quando vi accade qualcosa, vi sarà capitato di fare dei paragoni, di dire cose come: “Oh questa cosa mi ricorda quella volta quando…” I protagonisti dei romanzi invece non hanno passato.

E neppure un presente.

A parte quello della missione del momento, s’intende. Esiste solo l’esigenza di trama, tutto il resto è ammantato da un alone confuso. Nella vita reale difficilmente siete concentrati 100% su una cosa sola: c’è il lavoro, la famiglia, gli amici, il fidanzato, lo studio, lo sport, i passatempi… Di solito dedicate le vostre energie in varia misura a diversi aspetti della vostra vita. Non siete monoconcentrati e anche se qualche aspetto è preminente, non potete eliminare perentoriamente il resto dalla vostra vita; le altre cose di cui vi dovete occupare verranno comunque a chiedervi il conto, di solito in qualche modo richiederanno la vostra attenzione.

Ora io non dico di fare pagine sterminate di eventi fuorvianti e non attinenti con la trama, altrimenti diventa un mattone troppo pesante e si vìola la regola di non narrare il superfluo; ma neppure si può scadere nell’esagerazione opposta, ovvero ignorare completamente che il personaggio abbia un passato e che esista anche altro intorno a lui.

Come dico spesso, il giusto sta nel mezzo.

Ovviamente meglio si integrano questi dettagli nella trama, meglio è, ma mostrare, o anche semplicemente far intuire, accennare il contorno del personaggio aiuta sicuramente a renderlo più vivo e vivido, autentico.

 

 

Maggio 2

Fate il vostro SHOW!

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Show don’t tell.
Il concetto vittima della più grande INCOMPRENSIONE della storia! Per chi non sa di cosa sto parlando, legga QUI.
Innanzitutto c’è un misunderstanding dovuto alla traduzione: SHOW come MOSTRARE. In italiano purtroppo mostrare rimanda a vedere, guardare, ascoltare, insomma qualcosa che è al massimo riconducibile ai cinque sensi. Ciò, tradotto in soldoni, ha condotto molti sprovveduti scrittori a focalizzarsi su dettagli percettivi di una scena, ovvero a scrivere nei minimi particolari, più o meno rilevanti, ciò che stava accadendo al protagonista.
In realtà ciò è un limite: per cogliere il reale significato della parola show, essa non andrebbe tradotta, esattamente come in italiano nella frase: “Tizio ha fatto il suo show!” Ecco, è questo il concetto: non diciamo “Tizio ha fatto il suo mostrato” , perché non ha senso! In italiano show si può tradurre con “spettacolo“. ESATTO. E’ questo il senso: non occorre mostrare ogni dettaglio percettivo della scena, ma focalizzarsi su una vicenda, un dettaglio, che abbia significato per la storia, che trasmetta PATHOS. Ovvero bisogna DRAMMATIZZARE la scena, non farcela percepire come se la stessimo osservando al microscopio.
Ora vi farò un esempio di cosa significhi DAVVERO mostrare anziché raccontare: concetto sbandierato e riproposto impropriamente da chi, pur avendo letto milioni di manuali, non ha capito un cazzo!
Non sono i particolari, o soprattutto non è il DETTAGLIO di questi particolari a far la differenza, ma la QUALITA’ di essi.
Salgo le scale e sembro non rendermi conto che quella casa è troppo fredda per essere ancora abitata. E non mi riferisco solo alla temperatura, ma proprio al calore umano, ecco. Non sento l’odore di fumo e il caldo secco della stufa accesa, non vedo il vapore della pentola sul fuoco, eppure, per un momento, mentre sono in cima alle scale e apro la porta sulla sinistra, quella della cucina, sono convinta di trovarla ancora lì, seduta sulla sua sedia accanto alla stufa, che si volta verso di me, mi sorride e mi dice: “Ah, sei arrivata, era ora! E’ già mezzogiorno, meno male che ti avevo detto di arrivare presto!”, mi sgrida sì, ma lo so che non è arrabbiata.
La mia classica risposta sarà: “Eh va be, dai, non è mica tardi!”, non lo è di certo per una che come me di solito si alza a quell’ora.
Lei borbotterà qualcosa, ma poi si preoccuperà subito di cosa voglio mangiare.
Ma invece mia nonna non c’è.
La sedia è vuota.
Anzi no, al suo posto ora solo una pila di giornali.
Che nessuno sposta più.
Non so voi, ma mentre la scrivevo a me ha fatto commuovere… Sarò ipersensibile io… O più probabilmente sarà perché questa scena è vera…
Ma non parliamo di me, vediamo i dettagli: dunque prendiamo ad esempio il particolare dei giornali, perché è importante (e secondo me ricco di pathos)?
Perché ha un SIGNIFICATO! Non sono giornali messi lì su una sedia alla cazzo, ma era la sedia della nonna morta, QUELLA sedia che ora è abbandonata, nessuno la usa più dopo che lei è mancata, tant’è vero che ora è diventata un ripostiglio per giornali “che nessuno sposta più”.
Per me poi ha particolarmente pathos perché conosco la VERA VICENDA e a me fa davvero piangere pensare a questa scena; ora qui dovrebbe vedersi se sono brava a scrivere: se a voi ho trasmesso la stessa sensazione, la stessa commozione che provoca a me (o almeno una parte di essa) ecco, be’, allora vuol dire che ce l’ho fatta! Sono riuscita a far provare a VOI, le MIE emozioni!
Questo è scrivere!
Questo è saper raccontare una storia!
Qui si rimanda anche a un’altro aspetto caratteristico del concetto di “mostrare”: l’ambiguità. Ci sono i giornali perché la sedia è abbandonata, nel senso che si sono già dimenticati della nonna, oppure al contrario nessuno ha più coraggio di sedersi e le stanno inconsciamente riservando il posto?
Scena ambigua.
Come l’ambiguità della vita. Starà allo scrittore decidere se dare un senso nell’una o l’altra direzione a seconda del significato della storia oppure lasciar trasparire l’incertezza dei personaggi.
Lì sta la bravura.
Dare l’impressione che i personaggi si muovano da soli, mentre lì dietro qualcuno sta tirando le fila.
In questa frase invece:

Riccardo rientrò dal lavoro e posò il giornale che aveva in mano sulla sedia di legno ricamata.

Il fatto che Riccardo posi il giornale sulla sedia, su un tavolino, sul comò o sul cesso è IRRILEVANTE! Così come è irrilevante che la sedia sia di legno o di plastica, ricamata o meno. Perché quella seggiola non ha alcun significato, è solo uno dei tanti mobili della casa, in questo caso un mobilio vale l’altro, non fa alcuna differenza.
Quindi ricapitolando:  QUALITÀ dei dettagli, NON quantità!