Gennaio 12

Personalità dei personaggi: il passato, il presente e il futuro

Il negozio di amuleti

Percepisco una sorta di nonsense… falsità nei romanzi odierni. Lasciando perdere i libri creati a tavolino che seguono le mode del momento, su cui neppure mi pronuncio perché per me sono carta per pulircisi il c**o, anche nei romanzi “sentiti” (ovvero quelli in cui lautore “ci crede”) c’è qualcosa che non va. I personaggi si muovono per esigenza di trama e non per la loro personalità. Non riflettono su ciò che gli accade intorno, hanno la missione del momento, la “quest” come i protagonisti dei videogiochi, ma non esistono al di fuori di quella: si sente che non hanno un passato, e neppure un presente oltre a quello della storia principale. Insomma esistono solo nel “qui ed ora”.

Gennaio 4

Le case editrici leggono i vostri manoscritti?

Ieri, leggendo alcuni commenti dal sito di Writer’s Dream riguardo alle risposte delle case editrici (d’ora in poi le chiamerò CE), notavo come molti autori erano perplessi.  Il loro dubbio riguardava il fatto che le CE non avrebbero potuto leggere il loro manoscritto in così breve tempo, ed erano molto contrariati dalla cosa. Come a dire: “Se non l’hanno neppure letto, come hanno fatto a giudicarlo equamente? Mi hanno rifiutato per partito preso, senza neppure leggermi.”

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Autoritratto di autore che aspettava la lettura integrale del suo manoscritto. “Essere letto o non esserlo?” Questo il problema…

Beh, se devo essere sincera, penso che questo modo di ragionare sia non solo un po’ ingenuo, ma anche un po’ incompetente.
Pensare che si debba leggere tutto un romanzo per poterlo giudicare è da dilettanti. Una persona esperta non ha bisogno di leggere un intero romanzo per capire se è meritevole di pubblicazione, anzi, alle volte non occorre neppure un capitolo: bastano giusto le prime due o tre pagine, se non addirittura qualche riga.
E non è un caso che molte case editrici richiedono appunto che siano inviati loro solo alcuni capitoli o un tot di pagine.
Chi fa eccezione sono invece le case editrici più piccole, che spesso richiedono il romanzo in versione integrale: e ciò solitamente viene scambiato per un pregio, ovvero un segno che sono più attente allo scrittore. Ma invece non è sempre un buon segno, anzi, può essere indice di poca esperienza, di editor principianti. Non a caso, era proprio il metodo utilizzato da una casa editrice con cui ho collaborato personalmente (all’autore richiedevano solo il manoscritto integrale, senza neppure la sinossi). Io avevo chiesto spiegazioni sul perché non richiedessero una sinossi, suggerendo che poteva essere un proficuo aiuto. La loro risposta era stata: “Un autore potrebbe non avercela già pronta”.
Embé? Manco la fatica di scriverla? Una sinossi è un riassunto di mezza paginetta: hai scritto 200 pagine e ti dispiace scriverne mezza?
Tra l’altro è di grandissimo aiuto per gli editor, perché serve per inquadrare subito la storia: li aiuta ad avere immediatamente una panoramica dell’opera, riducendo i tempi di lettura, avendone già un’infarinatura generale.
Questa casa editrice era appena nata e di conseguenza non erano certo presenti nello staff persone con grande esperienza professionale. Basti pensare che io ho collaborato senza fare alcuna selezione, senza mandare alcun CV, ma semplicemente perché avevo risposto a un annuncio su Facebook in cui si cercavano collaboratori… et voilà! Avevo il mio libro da valutare senza sapere se fossi minimamente competente in merito.
A me questo metodo non convince molto.
Certo, è anche vero che i libri li leggono i lettori che non sono certo critici specializzati, quindi ci sta anche il voler sapere l’impatto che ha sulla “plebe” (passatemi il termine) un certo libro (in fondo non è che il concorso IoScrittore funzioni molto diversamente: sono i lettori/autori a decretare il vincitore). Dopotutto è anche vero che nella realtà saranno i lettori a decretare il successo dell’opera, quindi può essere saggio sapere cosa ne pensano.

 

Il potere della sinossi nel valutare un’opera

Ma torniamo al perché bastano poche pagine, e non l’intero romanzo, per capire se l’opera è meritevole di interesse.
Innanzitutto, a parte le eccezioni come la piccola casa editrice di cui sopra, normalmente le CE richiedono la sinossi. Cos’è una sinossi? In succo la sinossi è una specie di riassunto argomentato della vostra storia: dovete riassumere i fatti salienti della trama, esaltandone gli aspetti originali, le peculiarità, le tematiche, ma tenendo ben presente che per prima cosa dovete narrare la sequenza dei fatti, in modo che l’editore possa capire nel concreto di che argomento tratta il romanzo e come si sviluppa la vicenda nel particolare.

Già da questa sinossi, l’editore capisce moltissime cose:

se la storia scritta ha un potenziale pubblico: è fondamentale che ci siano lettori disposti a leggerla! Sembra una banalità, ma non lo è: se una bellissima storia tratta un argomento che è troppo di nicchia, che non interessa a nessuno, purtroppo nessuno comprerà quel libro, anche se magari la storia è molto bella e scritta bene. Il mio personalissimo consiglio (ma appunto prendetelo con le pinze, non è un assunto dell’editoria, ma solo un mio parere sviluppato dall’osservazione delle dinamiche editoriali) è che la storia non debba essere né troppo originale, né troppo banale. Deve essere abbastanza commerciale da avere un bacino di lettori interessati (quindi possibili acquirenti), ma d’altra parte deve essere abbastanza originale da differenziarsi da ciò che esiste già, proprio per incuriosire il lettore, che dirà: “Ah, bella questa!” Se il libro è troppo simile ad altri milioni che ci sono già in giro, sembrerà una brutta copia, oppure semplicemente l’editore preferirà l’ennesima storia identica però scritta dallo scrittore già affermato, perché avrà comunque più probabilità di vendere del Pincopallino di turno. Purtroppo il Pincopallino per emergere dalla massa deve fare qualcosa che gli altri non fanno, ma allo stesso tempo deve scrivere qualcosa che a molti piace.

se fa parte della loro linea editoriale: se la CE non pubblica fantasy e il vostro libro di fatto lo è, non c’è trippa per gatti: a prescindere dalla bontà del vostro romanzo, non lo pubblicheranno. Semplicemente perché non corrisponde agli interessi, argomenti, tematiche di cui si occupa la CE.

se la storia regge o è troppo strampalata/ campata per aria: questo punto invece riguarda la storia vera e propria; da una prima panoramica, l’editor capisce già se la storia non regge, se è confusionaria, se ci sono troppe cose che non quadrano o se la storia è semplicemente ridicola, banale o anche stupida.

 

La biografia dell’autore

Oltre alla citata sinossi, l’editore ha un’altra arma che può influenzare il suo giudizio in merito alla pubblicazione: la biografia dell’autore.
In realtà per certi romanzi può essere abbastanza ininfluente, soprattutto se la storia e completamente inventata e non presenta particolari termini tecnici.
Ma in alcuni casi, una particolare biografia può essere interessante ai fini della pubblicazione.

Io evidenzierei soprattutto 2 casi:

il romanzo è autobiografico. Ovviamente se il libro parla di voi, inutile dire che la vostra storia debba essere particolarmente interessante: dovrebbe esservi capitato qualcosa di davvero speciale, a nessuno fregherà niente delle vostre giornate spese a studiare o al supermercato. Ma allo tesso tempo, alla gente piacciono le storie vere, le piace sapere che le cose stanno davvero così, le piace sentir le storie raccontate in prima persona dagli occhi di chi le ha vissute, questo vi rende automaticamente credibili (chi può raccontare meglio la guerra di qualcuno che l’ha provata in prima persona?). Quindi il fatto di aver vissuto direttamente quei fatti, vi renderà automaticamente più autorevoli e interessanti di qualcuno che sta raccontando la storia di sana pianta senza sapere di cosa parla.

avete dei lettori/fan che vi seguono, quindi un potenziale bacino di utenza. Ad es. se siete dei blogger seguiti, inutile dire che le vostre potenzialità di farvi pubblicità saranno molto maggiori di uno che non se lo caga nessuno (passatemi la finezza). Quindi ovviamente quando pubblicherete un vostro romanzo, ci saranno molte persone interessate alla vostra opera e disposte a comprarla. Sembra banale dirlo, ma questo agli editori importa parecchio. Altrimenti non verrebbero pubblicate schifezze tipo i libri di FaviJ o della DeLellis. È evidente che lei è stata pubblicata perché famosa, non per altri motivi. La fama vende, quindi più siete famosi/seguiti, più venderete.

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Aver avuto una vita avventurosa è importante per uno scrittore

 

Il manoscritto vero e proprio: lo stile

Detto questo, tra sinossi e biografia, l’editore è già in grado di valutare 3/4 della vostra opera. Ora manca la parte finale: il vostro stile (ovviamente oltre alla correttezza grammaticale e sintattica; ma anche quella di solito si può valutare già dalla sinossi). Ed è per questo che vi chiedono quei due o tre capitoli da leggere o l’incipit. Se mancano le basi, il romanzo non passa, ma se ci sono (la storia regge ed ha un mercato), allora si procede alla parte finale: vedere se la scrittura non è così pesante da far addormentare chi legge.
Mi spiace dirlo, ma piuttosto che una tecnica impeccabile a livello stilistico (ossia le cose di cui parliamo nei manuali di scrittura: gestione del punto di vista, mostrare anziché raccontare, ecc…), è molto più importante che la scrittura sia scorrevole, non farraginosa, che il lettore non si annoi. E ovviamente è inutile dire che non serve leggere tutto il romanzo per capire se ci annoia o no.
Bisogna vedere se il testo riesce a stimolare quella curiosità che fa dire al lettore: “E poi? Che succederà dopo?” Non a caso, nella pagina di invio manoscritti di Fazi è scritto proprio così:
“Domandatevi se, aprendo una pagina a caso, continuereste a leggere”.

E non è dissimile Longanesi, che pare giudicare molto le sue opere dall’incipit. Se L’incipit non li “prende”, adios!
Anche perché se il lettore fino pag.100 si annoia, serve ben poco sapere che da pag.101 il romanzo diverrà un capolavoro col colpo di scena finale, perché semplicemente nessun lettore ci arriverà mai al finale, visto che si sarà annoiato prima e non avrà alcun interesse a sapere come procede la storia.
Non a caso, Sandrone Dazieri, editor di Licia Troisi, disse che aveva deciso di pubblicare “Le cronache del Mondo Emerso” perché era l’unico fantasy giunto in redazione che non l’aveva annoiato. Quel romanzo non è certo esente da difetti ed è stato spesso criticato, però, è vero: non annoia!

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Sembrava un manoscritto interessante…
Photo by Tony Tran on Unsplash

 

Conclusioni sull’importanza dei testi integrali

Un’ultima curiosità sull’importanza dell’invio del manoscritto integrale.

Acheron Books addirittura valuta anche solo le proposte editoriali o le bozze, anzi, è specificato che se il romanzo non è ancora stato scritto, è pure meglio, così si potrà già progettare bene dall’inizio, anziché modificarlo in corso d’opera o doverne riscrivere delle parti.

Ovvio che poi per la pubblicazione vera e propria sarà richiesto il manoscritto integrale, ma appunto per uno screening iniziale non è necessario.

Quindi, traendo le conclusioni, non statevi chiedere se il vostro romanzo sia stato letto per intero oppure no perché, onestamente, non serve proprio per valutare la vostra opera ai fini della pubblicazione!

Riprendendo questa citazione di Robert Kiyosaki: «Io non sono un bravo scrittore, né un perfezionista, infatti non sono un bestwriter, ma sono un bestseller».
Alle case editrici non interessa più di tanto che il vostro romanzo sia un capolavoro a livello letterario, ma interessa molto di più che sia un’opera vendibile, un’opera che possa interessare e piacere al pubblico.

Novembre 18

In arrivo il mio nuovo romanzo

La moglie dello Stregone

News fresca fresca: sta per arrivare…

Dopo quasi 200 anni 💀 , sono in procinto di terminare il mio terzo libro: “La moglie dello stregone👰 Sposa Emoji  (d’ora in poi abbreviato MdS). Avevo iniziato quest’opera nel lontano 2012, anzi forse nel 2011, poi ho continuamente rimandato. Prima l’ho interrotta per scrivere il mio secondo romanzo “In bilico su un’altalena” a fine 2011 perché volevo iscriverlo al concorso “La Giara”. Nel 2012 doveva essere l’anno di MdS ma per non rovinare la buona idea, ho iniziato a leggere alcuni manuali di scrittura perché volevo scrivere il miglior libro possibile. Il problema era che più leggevo più mi venivano in mente cose da cambiare, ma soprattutto più mi venivano altre idee, altri romanzi che trovavo più interessanti o forse a mio parere più appetibili per le Case Editrici. Insomma che ho iniziato altri 10.000 romanzi 📚 e non ne ho completato uno. E questo intanto ammuffiva. L’anno scorso ho avuto un altro slancio di vitalità e l’ho ripreso in mano, ma sotto Natale c’è stata un’esplosione di impegni lavorativi e così ho dovuto interrompere la scrittura. Poi ho iniziato a dedicarmi ad altri progetti e così il libro è stato nuovamente abbandonato.
Quest’anno mi ritrovo con un po’ più di tempo libero e ho deciso che, sì, questo libro deve finire! 📖🔚

➠ Edit del 7/12/2020: Il romanzo è ora disponibile!

Settembre 2

Scrivere un libro: usare il cuore o il cervello?

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Come si scrive un libro? Quali sono le tecniche per scrivere buona narrativa? Basta l’ispirazione, il cuore o meglio essere razionali e seguire delle ferree regole letterarie? Scrittori si nasce o si diventa? Si può imparare a scrivere o è una dote innata? Bisogna essere molto tecnici, razionali o meglio creare forti emozioni?

Vediamo di andare con ordine…

Lo spunto per questa riflessione, nasce da questo articolo di Gamberi Fantasy:

In sostanza Twain dice che se uno scrittore crea un fiume largo tot metri e vi immerge una barca più larga, la dannata barca non ci passa! (in realtà la questione è un po’ più complessa, l’invito è leggere direttamente Twain.)
Non è una metafora: Twain parla di barche, traiettorie di proiettili, rumori nei boschi, e ogni sorta di fatto concreto. E sono proprio i fatti concreti all’interno di un’opera di narrativa la base sulla quale giudicarla! Non la poesia ungherese, non astratti discorsi sull’estetica, l’arte e la retorica, non disquisizioni sulla situazione cultural-sociale nella quale si muove l’autore, non quali Grandi Problemi del Nostro Tempo l’opera in questione affronta, non cretinerie assortite. In un racconto quel che conta è che gli eventi siano verosimili, i personaggi credibili, e che la storia abbia un capo e una coda.

All’inizio, quando ero una giovane aspirante scrittrice 👩‍💻,  rimasi molto affascinata da questa ipotesi. L’arte della narrativa poteva essere giudicata con mezzi precisi, quindi la critica letteraria non era una mera opinione lasciata al caso, ma si poteva basare su assunti specifici, oggettivi e condivisibili da tutti!

EUREKA!

Mi sembrava bellissimo: si poteva imparare a scrivere bene seguendo una tecnica rigorosa.
Purtroppo mi accorsi ben presto che tra il dire e il fare ce n’era di spazio, e la narrativa non è una materia precisa come l’informatica. Anche se si seguono pedissequamente alcune regole narrative, non è assolutamente garantito il risultato, si può migliorare la tecnica ma non è assolutamente detto che si scriva un buon libro. Semplicemente perché la narrativa è creatività e quindi non è detto che con regole precise si riesca a creare una buona storia, quella dipende dalla tua testa.

Ma ora vediamo perché non basta seguire tecniche oggettive, rigorose per scrivere un buon libro. Cosa manca a questa teoria (seppur parte da presupposti giusti e condivisibili)?

Soffermiamoci su questo punto:

Ho davvero creduto che una critica seria implicasse frasi quali “non è possibile giudicare l’opera di Pinco Pallino, se non alla luce delle poesie di [sconosciuto poeta ungherese del sedicesimo secolo]” o “stante il concetto di estetica del [filosofo il cui nome ha troppe h, e k, e w, e z, per essere pronunciato] possiamo affermare” o ancora “lo stile di Pinco Pallino amalgama sapientemente elementi ctoni con accezioni eteree ecc. ecc.”
Poi ho letto Mark Twain e ho capito che quanto sopra e tutto ciò che ne deriva e implica sono stupidate.

Innanzitutto premetto che:

  1. Sono d’accordo sul non giudicare un romanzo in base alla filosofia epistemica eterea: quelle sono tutte baggianate!
  2. Va bene essere accurati, precisi, e quando si scrive è bene documentarsi su ciò di cui si parla;

Ma, se valuti un romanzo solo in base alla razionalità dello stesso, la critica che ne verrà fuori sarà monca. È come se giudicassi un libro in base alla moralità cristiana: per carità, lo posso anche fare, ma sarà comunque un giudizio parziale, valuterò solo un aspetto, non il suo insieme.  

Facciamo un esempio.

La storia 1 è molto precisa, regolare, l’eroe va dal punto A al punto B, vince la sua battaglia, combattendo perfettamente secondo le leggi della fisica, usa le armi in modo impeccabile e non ci sono sbavature di sorta.

La storia 2 è invece tecnicamente imprecisa, c’è una battaglia in cui l’avversario secondo le leggi della fisica dovrebbe morire, ma invece sopravvive, solo che grazie a questo “errore” si crea una grande storia di amicizia tra il protagonista e l’avversario; questa storia è piena di pathos, e la scena finale, in cui l’avversario arriva addirittura a sacrificare la sua vita per salvare il protagonista, è molto epica e drammatica.

Secondo voi, quale tra le due preferirà il lettore?

La seconda.

Visto che ai gamberettiani piacevano tanto le teorie scientifiche, vi parlerò della memoria, in accordo con le moderne teorie della psicobiologia (ambito in cui ho svolto anche un tirocinio di ricerca). Non vi starò a tediare parlando delle varie parti in cui è suddivisa la memoria, vi basterà sapere che le emozioni hanno un ruolo molto importante nella memoria.

Ovvero influenzano pesantemente il ricordo.

Sia in maniera positiva che negativa. Infatti ci ricordiamo sia di eventi molto piacevoli che molto spiacevoli. In parole povere, gli eventi molto piacevoli ce li ricordiamo perché siamo spinti a riprodurre quell’azione che in passato ci ha appagato, per riprovare nuovamente piacere o trovare la ricompensa (il cibo, ad esempio); viceversa, gli eventi spiacevoli dobbiamo ricordarceli per evitare di finire nuovamente in situazioni di pericolo e/o dolorose. Ovviamente le emozioni possono avere anche un effetto inibente: in caso di traumi troppo dolorosi da sopportare, può subentrare l’oblio, la rimozione, per evitare di farci soffrire.

Cosa c’entra tutto ciò con la scrittura?

C’entra perché per avere ricordi forti, che rimangono impressi a lungo, occorrono emozioni forti.

E se voglio scrivere un buon libro, un libro che venga ricordato, devo suscitare emozioni. Ovviamente ce ne sono di diverso tipo: paura (libri horror), passione (romanzi rosa), suspense/curiosità (giallo), ecc.. Quindi quando parlo delle emozioni mi riferisco a tutta la gamma dei sentimenti umani, non solo alle emozioni sdolcinate da romanzetti di serie B.

Scrivere un romanzo perfettamente razionale non significa scrivere un buon libro, perché la storia razionale può suscitare zero emozioni! Purtroppo per Gamberetta, le emozioni per definizione sono irrazionali (oh per la Dea! Terribbbile!). Ciò ovviamente non significa che un romanzo carico di emozioni debba essere per forza illogico e irrazionale (un libro emotivo può essere anche molto razionale), ma non è con la razionalità che susciterai emozioni.

Questo discorso non vuole essere un incentivo a scrivere con faciloneria: informarsi su ciò di cui si vuole parlare, evitando strafalcioni cosmici, imprecisioni e ridicolaggini varie, è cosa buona e giusta, soprattutto se si vuole essere presi sul serio. Ma uno scrittore non può essere onnisciente.
Tra l’altro Gamberetta è molto precisa per ciò che riguarda armi, tattiche di guerra, ecc.., ma è risultata facilona pure lei in altri campi: davanti a un’esperta del settore, una psichiatra, ha mostrato palesemente di non conoscere quali siano le reali procedure in un ospedale, e quali potrebbero essere i reali comportamenti di una paziente, non è per niente verosimile quella scena.
Ma questo è ovvio, non si può sapere tutto di tutto. Non ci sono solo armi e strategie di guerra in un romanzo, ci sono anche le dinamiche comportamentali e qui entra in ballo la psicologia, ad esempio.
Ma siccome uno scrittore non può essere onnisciente, allora su cosa si deve informare?
Su ciò che serve, ciò che è necessario e coerente con la storia.

Se ad esempio il protagonista è un veterano, per coerenza dovrebbe essere piuttosto esperto di armi, ma se la protagonista è una vecchietta, non è tenuta a sapere il modello preciso di una pistola e la velocità e profondità di traiettoria del proiettile. (Dopotutto voi tutte le volte che prendete in mano un cellulare pensate “oh toh il mio Samsung Galaxy A7c13 2018” o semplicemente “il mio cell”?) Ripeto, la descrizione minuziosa può aver senso se volete mostrare che il tizio è un appassionato del genere o soffre di manie ossessive e deve nominare con maniacale precisione ogni oggetto che vede, altrimenti non è necessario.
Se fate impugnare un’arma dovete certo sapere se sia realistico che spari a una certa distanza, che possa essere impugnata facilmente da una persona non esperta oppure no, ok, ma non dovete sapere la quantica della fisica balistica del teletrasporto atomico; altrimenti lo stesso discorso dovrebbe applicarsi per tutte le cose che fate. Andate a bere un cocktail? Eh no, non può essere solo un cocktail: dovete specificare che è un Long Island Iced Tea e quindi, da bravo scrittore onnisciente, dovete anche essere un po’ bartender e dire che quella mezz’oncia ciascuno di vodka, gin, triple sec, rum bianco e tequila (eh sì, voi siete ligi alla ricetta IBA e ci mettete anche la tequila) si amalgamano perfettamente con la coca cola e il sweet e sour.
Vi rendete conto che è pura follia se iniziate a fare così con tutto! (Se invece volete mostrare che il tizio è un esperto di mixologia e si mette a disquisire col barista, dalla quale discussione nascerà un’amicizia o una splendida storia d’amore, allora certo, vi dovete documentare sui cocktail.)

Se scrivete con precisione, dimostrerete la fondatezza scientifica delle vostre teorie, l’accuratezza storica della vostra storia, la precisione tecnica, ma non scriverete necessariamente un BUON LIBRO. 
Un romanzo NON è un MANUALE!

Se non suscita emozioni, succederà che:

  1. Subentra la noia, il libro viene abbandonato;
  2. Viene letto fino alla fine ma dimenticato dopo 2 giorni

Questo perché appunto i ricordi hanno bisogno di emozioni per rimanere impressi nella nostra memoria e se il libro non ha lasciato nulla degno di nota, non c’è motivo per ricordarsene.

Una delle motivazioni portate a sostegno del fatto che non essere precisissimi nei dettagli è una cosa “terribile” è che il lettore viene distratto da questi fastidiosissimi dettagli a cui proprio non riesce a non fare caso, e così non si immerge nella storia perché terribilmente offuscato dal demone dell’irrazionalità che sovrasta il realismo e la coerenza interna.
Nella pratica non è vero che il lettore medio non si immerge nella storia (a meno che non soffra di ossessioni maniacali), in realtà molto spesso:

  1. il lettore è distratto, neppure se ne accorge;
  2. nota l’errore ma non ci bada, perché? Perché lo considera un dettaglio.

Entrambe le tipologie di lettori sono concentrati su altro: ovvero sul contesto, la storia, le emozioni.

Se non ci sono queste, se mancano cioè le basi, tutto il resto serve a ben poco.

Per riassumere questo concetto non trovo niente di più adatto della frase finale del film “Io robot”, quando la robot V.I.K.I. dice a proposito del suo piano perfetto (L’obiettivo di V.I.K.I. è quello di proteggere gli uomini, sacrificando però i singoli e la loro libertà al fine d’instaurare sulla Terra una “benevola” dittatura dei robot per proteggere gli uomini da loro stessi): “Ma come, non riesci a vederlo? Il mio piano è così… razionale!”; e il robot Sonny, dotato invece di un’intelligenza emotiva, risponde: “Sì, ma… sembra che manchi un po’ di cuore!”

Agosto 1

Scarsa caratterizzazione dei personaggi

Percepisco una sorta di nonsense… Falsità nei romanzi odierni.

Lasciando perdere i libri creati a tavolino che seguono le mode del momento, su cui neppure mi pronuncio perché per me sono carta per pulircisi il c**o, anche nei romanzi “sentiti”, ovvero quelli in cui l’autore “ci crede”, c’è qualcosa che non va. I personaggi si muovono per esigenza di trama e non per la loro personalità. Non riflettono su ciò che gli accade intorno, hanno la missione del momento da portare a termine, la “quest” come i protagonisti dei videogiochi ma non esistono oltre a quello, si sente che non hanno un passato, e neppure un presente oltre a quello della storia principale.

Accadono le cose più assurde ai personaggi e questi?

Niente. Reagiscono con un’alzata di spalle. Senza riflettere, rimuginare o rielaborare quello che sta accadendo intorno a loro.

Insomma, spessore psicologico di una sottiletta.

E questo l’ho notato trasversalmente, in diverse tipologie di romanzi, appartenenti a generi diversi, anche quelli che dovrebbero essere più impegnati.

Insomma non si capisce cosa stia passando per la testa del personaggio né sembra che sia mai esistito prima di quel momento.

Mai un ricordo, un’associazione su un evento passato, un aneddoto triste o divertente… Insomma normalmente quando vi accade qualcosa, vi sarà capitato di fare dei paragoni, di dire cose come: “Oh questa cosa mi ricorda quella volta quando…” I protagonisti dei romanzi invece non hanno passato.

E neppure un presente.

A parte quello della missione del momento, s’intende. Esiste solo l’esigenza di trama, tutto il resto è ammantato da un alone confuso. Nella vita reale difficilmente siete concentrati 100% su una cosa sola: c’è il lavoro, la famiglia, gli amici, il fidanzato, lo studio, lo sport, i passatempi… Di solito dedicate le vostre energie in varia misura a diversi aspetti della vostra vita. Non siete monoconcentrati e anche se qualche aspetto è preminente, non potete eliminare perentoriamente il resto dalla vostra vita; le altre cose di cui vi dovete occupare verranno comunque a chiedervi il conto, di solito in qualche modo richiederanno la vostra attenzione.

Ora io non dico di fare pagine sterminate di eventi fuorvianti e non attinenti con la trama, altrimenti diventa un mattone troppo pesante e si vìola la regola di non narrare il superfluo; ma neppure si può scadere nell’esagerazione opposta, ovvero ignorare completamente che il personaggio abbia un passato e che esista anche altro intorno a lui.

Come dico spesso, il giusto sta nel mezzo.

Ovviamente meglio si integrano questi dettagli nella trama, meglio è, ma mostrare, o anche semplicemente far intuire, accennare il contorno del personaggio aiuta sicuramente a renderlo più vivo e vivido, autentico.

 

 

Maggio 23

Riflessioni sulla mitologia e la moralità del fantasy contemporaneo

Stavo leggendo “Le Nebbie di Avalon”, quando mi è sopraggiunto un pensiero…

Per chi non lo sapesse, il romanzo di Marion Zimmer Bradley racconta una storia ambientata ai tempi di re Artù. Iniziando a leggere, già da subito ho pensato che mi sarebbe piaciuto approfondire l’argomento delle leggende di Camelot e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, di cui ho una infarinatura ma non ho mai letto bene tutte le epiche gesta. 

E ho ripensato alla Chanson de Roland e ad altri poemi epici che si studiano a scuola. Da qui ho percepito l’incongruenza: i poemi epici si studiano a scuola come pietra miliare della letteratura,mentre il fantasy epico contemporaneo è considerato poco più che spazzatura.

Dubito che studieranno Avalon a scuola, eppure un tempo la mitologia era una parte fondante della cultura di un popolo: raccontava le sue tradizioni, le sue origini, la sua storia.

Oggi si è perso il loro valore, il loro senso epico, istruttivo, formativo…

Stessa sorte capitata alla fiaba, che un tempo aveva una morale, mentre ora si è trasformata in intrattenimento tout court; non vuole insegnare più niente.

Di chi è la colpa di tutto ciò?

Secondo me, è 50/50. 

Cioè gli autori non hanno nulla da dire, effettivamente molte storie sono solo ca**ate, senza alcun messaggio importante di fondo; e a loro volta i critici criticano a priori, avendo dei pregiudizi (sì ok, so che mi ripeto ma è così); non si vuole/riesce a contemplare che una storia ambientata in un mondo fantastico possa avere anche un ruolo educativo. Si parte dal 
pregiudizio che “intanto è fantasy”, ovvero “sono tutte stupidaggini”!

Che poi anche ad essere solo intrattenimento non c’è nulla di male, ci mancherebbe, ma uno non esclude l’altro, e soprattutto non lo esclude a priori. Avevo già parlato di questo argomento in questo articolo: “La Vera LetteraturaTM è noiosa?“Perché un racconto Fantasy non può contenere una bellissima metafora sulla vita? Un insegnamento ancora attuale, anche se non accade nel nostro mondo? Una storia di amicizia è meno “amicale” se accade su Marte? Un amore è meno vero se ambientato nella Terra di Mezzo invece che a New York? 
Come se non fossero entrambi pienamente inventati!
Valori, insegnamenti, filosofie, emozioni, riflessioni possono tranquillamente essere trasmessi anche in un Fantasy.

Maggio 2

Fate il vostro SHOW!

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Show don’t tell.
Il concetto vittima della più grande INCOMPRENSIONE della storia! Per chi non sa di cosa sto parlando, legga QUI.
Innanzitutto c’è un misunderstanding dovuto alla traduzione: SHOW come MOSTRARE. In italiano purtroppo mostrare rimanda a vedere, guardare, ascoltare, insomma qualcosa che è al massimo riconducibile ai cinque sensi. Ciò, tradotto in soldoni, ha condotto molti sprovveduti scrittori a focalizzarsi su dettagli percettivi di una scena, ovvero a scrivere nei minimi particolari, più o meno rilevanti, ciò che stava accadendo al protagonista.
In realtà ciò è un limite: per cogliere il reale significato della parola show, essa non andrebbe tradotta, esattamente come in italiano nella frase: “Tizio ha fatto il suo show!” Ecco, è questo il concetto: non diciamo “Tizio ha fatto il suo mostrato” , perché non ha senso! In italiano show si può tradurre con “spettacolo“. ESATTO. E’ questo il senso: non occorre mostrare ogni dettaglio percettivo della scena, ma focalizzarsi su una vicenda, un dettaglio, che abbia significato per la storia, che trasmetta PATHOS. Ovvero bisogna DRAMMATIZZARE la scena, non farcela percepire come se la stessimo osservando al microscopio.
Ora vi farò un esempio di cosa significhi DAVVERO mostrare anziché raccontare: concetto sbandierato e riproposto impropriamente da chi, pur avendo letto milioni di manuali, non ha capito un cazzo!
Non sono i particolari, o soprattutto non è il DETTAGLIO di questi particolari a far la differenza, ma la QUALITA’ di essi.
Salgo le scale e sembro non rendermi conto che quella casa è troppo fredda per essere ancora abitata. E non mi riferisco solo alla temperatura, ma proprio al calore umano, ecco. Non sento l’odore di fumo e il caldo secco della stufa accesa, non vedo il vapore della pentola sul fuoco, eppure, per un momento, mentre sono in cima alle scale e apro la porta sulla sinistra, quella della cucina, sono convinta di trovarla ancora lì, seduta sulla sua sedia accanto alla stufa, che si volta verso di me, mi sorride e mi dice: “Ah, sei arrivata, era ora! E’ già mezzogiorno, meno male che ti avevo detto di arrivare presto!”, mi sgrida sì, ma lo so che non è arrabbiata.
La mia classica risposta sarà: “Eh va be, dai, non è mica tardi!”, non lo è di certo per una che come me di solito si alza a quell’ora.
Lei borbotterà qualcosa, ma poi si preoccuperà subito di cosa voglio mangiare.
Ma invece mia nonna non c’è.
La sedia è vuota.
Anzi no, al suo posto ora solo una pila di giornali.
Che nessuno sposta più.
Non so voi, ma mentre la scrivevo a me ha fatto commuovere… Sarò ipersensibile io… O più probabilmente sarà perché questa scena è vera…
Ma non parliamo di me, vediamo i dettagli: dunque prendiamo ad esempio il particolare dei giornali, perché è importante (e secondo me ricco di pathos)?
Perché ha un SIGNIFICATO! Non sono giornali messi lì su una sedia alla cazzo, ma era la sedia della nonna morta, QUELLA sedia che ora è abbandonata, nessuno la usa più dopo che lei è mancata, tant’è vero che ora è diventata un ripostiglio per giornali “che nessuno sposta più”.
Per me poi ha particolarmente pathos perché conosco la VERA VICENDA e a me fa davvero piangere pensare a questa scena; ora qui dovrebbe vedersi se sono brava a scrivere: se a voi ho trasmesso la stessa sensazione, la stessa commozione che provoca a me (o almeno una parte di essa) ecco, be’, allora vuol dire che ce l’ho fatta! Sono riuscita a far provare a VOI, le MIE emozioni!
Questo è scrivere!
Questo è saper raccontare una storia!
Qui si rimanda anche a un’altro aspetto caratteristico del concetto di “mostrare”: l’ambiguità. Ci sono i giornali perché la sedia è abbandonata, nel senso che si sono già dimenticati della nonna, oppure al contrario nessuno ha più coraggio di sedersi e le stanno inconsciamente riservando il posto?
Scena ambigua.
Come l’ambiguità della vita. Starà allo scrittore decidere se dare un senso nell’una o l’altra direzione a seconda del significato della storia oppure lasciar trasparire l’incertezza dei personaggi.
Lì sta la bravura.
Dare l’impressione che i personaggi si muovano da soli, mentre lì dietro qualcuno sta tirando le fila.
In questa frase invece:

Riccardo rientrò dal lavoro e posò il giornale che aveva in mano sulla sedia di legno ricamata.

Il fatto che Riccardo posi il giornale sulla sedia, su un tavolino, sul comò o sul cesso è IRRILEVANTE! Così come è irrilevante che la sedia sia di legno o di plastica, ricamata o meno. Perché quella seggiola non ha alcun significato, è solo uno dei tanti mobili della casa, in questo caso un mobilio vale l’altro, non fa alcuna differenza.
Quindi ricapitolando:  QUALITÀ dei dettagli, NON quantità!